La pizza con il virus sintomo di stupidità

Luciano Nardi, direttore creativo dell'agenzia Kube Libre.

 

Pubblicitario di lunga esperienza, vincitore anche di Leoni d’oro al Festival della pubblicità di Cannes, la manifestazione più importante del settore, Luciano Nardi è direttore creativo dell’agenzia Kube Libre.

Che cosa pensa dello spot con la pizza Coronavirus?

"È agghiacciante, sintomo di stupidità e di pessima creatività. Ma anche la pagina di quotidiano che suggerisce ‘Fatti contagiare’ è un esempio di come chi l’ha realizzata non capisce il momento e il modo della comunicazione creativa. Puoi essere sciocco nell’uso dei meme, della comunicazione privata, ma non puoi permetterti di esserlo se parli a nome di un brand: in quel caso devi fare molta attenzione, perché può essere un’arma devastante".

Però, lo spot della pizza aveva come committente una trasmissione satirica: quindi era in linea con il brand che promuoveva.

"Ma è orribile, fatto malissimo. Lo definirei un esempio di ‘bullismo della comunicazione’: tratti male qualcuno, nel caso i malati e i contagiati, e non solo quelli italiani, riparandoti dietro la scusa dello scherzo, mentre non c’è vera ironia. Per essere riuscita, l’ironia deve avere in pubblicità una visione strategica, altrimenti rischi che ti si ritorca contro. Per questo serve un piano marketing, una riflessione, un lavoro strategico gestito da professionisti".

La pizza abbinata all’Italia non è certo una novità: negli anni, moltissime pubblicità all’estero hanno usato questo stereotipo.

"Sì, come quelli che mettevano la pistola sugli spaghetti, perché Italia-mafia. Sono luoghi comuni che ormai non fanno più ridere, ammesso che un tempo ci riuscissero".

Altri esempi di "instant advertising" invece possono essere molto divertenti.

"Sì, come quando Ikea, all’annuncio dell’uscita dei Sussex dalla famiglia reale, aveva fatto la pubblicità: ‘Meghan, Harry. Vi capiamo, siamo fatti per cambiare’. Ci sono aziende che hanno costruito la propria immagine anche sull’instant advertising, penso per esempio a Ceres. Ma resta il fatto che non basta la singola uscita, bisogna sedimentare la campagna con una strategia multicanale, trasformare quell’istante in un’onda lunga, per non finire nel semplice ‘famolo strano’. Io comunque a questa modalità preferisco altri esempi di viral marketing".

Anche "virale" è un termine a rischio oggi.

"In realtà mi riferisco a un esempio degli anni Novanta, a Londra: un camioncino scassato girava per le strade con la scritta ‘Se sono capace di far funzionare questo, immaginate cosa posso fare per la vostra auto’. Era la comunicazione di un meccanico, studiata da una grande agenzia: il suo pregio era creare un cortocircuito immediato fra chi comunicava e chi leggeva".

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